Strumenti di Pianificazione e Gestione aziendale: gli indici di bilancio (2)

…alcune considerazioni sulla “lettura” dell’indice di redditività dell’impresa…

Gli indici di redditività (nelle sue diverse configurazioni) sono – tra altri – strumenti che consentono la valutazione della capacità d un’impresa di produrre ricchezza (redditi per l’imprenditore, i suoi collaboratori e altri “interlocutori” che, a vario titolo, si interfacciano con il sistema aziendale). Abbiamo osservato come il Reddito Operativo evidenzia i risultati della c.d. “gestione tipica”, cioè di quella che è l’attività principale dell’azienda (sia essa di produzione di beni materiali e immateriali – servizi- o di commercio) e che realizza l’idea imprenditoriale per la quale la stessa azienda è stata creata. Ricordiamo che il reddito (o risultato) operativo viene sintetizzato dal confronto tra Ricavi e Costi “diretti” impiegati per la produzione di beni e servizi oggetto di cessione: la differenza, se positiva , è già un primo segnale di benessere dell’azienda e ne attesta la capacità di “continuità”, sia produttiva che economica. Gli “ Indici di redditività dell’impresa” sono dunque tra i principali e decisivi dati da assumere per formulare un giudizio sullo stato di “salute economica” di un’azienda: – per l’imprenditore (e soprattutto per eventuali soci) è un indicatore utile per la valutazione di convenienza ad investire nell’azienda condotta o rivolgersi ad altre forme di investimento maggiormente remunerative (altre produzioni, costituzione o acquisizione di nuove aziende, mercati mobiliari, etc.); – per gli interlocutori dell’impresa costituirà uno degli elementi essenziali per l’avvio o la continuità di rapporti con l’azienda interessata. Infatti, se per gli imprenditori (in modo particolare per i piccoli) esiste un legame con la propria attività che è anche frutto di situazioni e motivazioni personali che trascendono il puro calcolo economico, l’indice di redditività sarà preso senza dubbio in preliminare considerazione da parte di eventuali soci “non operativi” o finanziatori (istituti bancari ed enti di finanziamento pubblici) e, in determinati casi, anche da fornitori e clienti.

I criteri di finanziamento alle imprese hanno, come obiettivo principale, quello di privilegiare – con il sostegno finanziario – quelle imprese che possono godere di un soddisfacente grado di “ merito creditizio” : in buona sintesi, verranno preventivamente elaborati, da parte dei finanziatori esterni, indici di valutazione che misurano la capacità dell’impresa di remunerare il complesso dei capitali utilizzati nell’attività ( indice di redditività dei capitali propri dell’imprenditore e di terzi investiti nell’impresa) e di provvedere anche alla restituzione degli stessi prestiti: per inciso, da qui anche l’importanza del controllo dei “flussi di cassa”. In tali premesse , dunque, l’imprenditore dovrà analizzare il processo di formazione del reddito operativo , inteso quale risultato del “valore aggiunto” che l’azienda apporta ai fattori produttivi “diretti” impiegati nella produzione: in estrema semplificazione il “ricarico” applicato al costo di tali fattori. Il valore aggiunto consentirà di “assorbire” gli altri costi “indiretti” e di raggiungere un risultato finale (reddito di esercizio) in linea con le previsioni fatte? Potrà soddisfare le aspettative dell’imprenditore e dei suoi “interlocutori”? In caso negativo, la tipologia della produzione aziendale e il mercato di appartenenza consentono di agire sui prezzi di vendita? I fattori produttivi dell’azienda sono utilizzati in modo ottimale? In definitiva: – quale il tasso di rendimento (lordo) sulle vendite? – quanti i “cicli produttivi” realizzati e quanti quelli realizzabili? – quante volte il capitale investito “ritorna” sotto forma di vendite ?

I risultati di queste “indagini” daranno due ulteriori e importanti indici di “analisi di bilancio”: Ritorno sulle Vendite o Redditività delle Vendite Rotazione del capitale investito netto

Continueremo con il prossimo blog, non senza restare a disposizione per ogni approfondito esame di casi specifici.

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Strumenti di Pianificazione e Gestione aziendale: gli indici di bilancio

Abbiamo fin qui proposto primi cenni di avvicinamento alle due fondamentali categorie di strumenti da utilizzare per una sana ed efficace gestione d’azienda: il bilancio, con le correlate analisi delle sue componenti di valore, e l’esame per flussi dei valori aziendali.

Il bilancio d’esercizio “consuntivo”, è un documento di carattere tendenzialmente statico, in quanto una sua componente – lo “Stato Patrimoniale” – dà l’immagine del patrimonio dell’impresa fissata ad un preciso momento (normalmente con la fine di un periodo di 12 mesi, e generalmente coincidente con la fine dell’anno solare), mentre il “Conto Economico” dà la sintesi del risultato economico (somma algebrica tra ricavi e costi) conseguito nel periodo temporale oggetto di osservazione.

L’ esame per flussi rileva l’andamento delle componenti patrimoniali (principalmente nell’espressione finanziaria) nel loro “scorrere” lungo l’attività di gestione di un determinato periodo di tempo.

Necessaria per l’analisi per indici è la riclassificazione del bilancio: tale operazione consiste in una procedura di rielaborazione espositiva dei dati di bilancio, finalizzata ad una più agevole lettura di quei singoli atti di gestione che non godono di immediata visibilità nella struttura di bilancio civilistico.

Mediante tale rielaborazione vengono ricavati degli indicatori (indici) i quali – se   posti in correlazione fra di loro – mettono in grado l’imprenditore (e i suoi interlocutori) di “leggere” lo stato di salute dell’impresa.

Iniziamo a “esplorare” i più comuni indicatori.

 REDDITIVITA’ AZIENDALE: consideriamo che l’imprenditore abbia già avviato da tempo l’attività, magari con la preventiva formulazione di un auspicabile “Progetto di impresa” e un conseguente “Business Plan”: dovrà verificare se le previsioni fatte trovino conforto nei risultati di gestione, e più specificatamente, se il risultato economico positivo (UTILE – REDDITO) sia stato conseguito e   in misura tale che possa soddisfare le proprie aspettative e quelle dei terzi che, a vario titolo, hanno riposto fiducia nell’attività (es. finanziatori esterni).

Una breve nota sulla nozione tecnica di REDDITO e delle sue parti ideali.

L’utile di impresa (c.d. anche Reddito) è essenzialmente costituito da tre componenti.

Reddito Operativo: è un valore economico intermedio (detto anche utile operativo, margine operativo o risultato operativo) relativo alla sola gestione caratteristica di un’impresa e non tiene conto di altri fattori reddituali di carattere finanziario, non caratteristico, straordinario o fiscale.     Si ottiene dalla somma algebrica tra il Valore della Produzione e il suo costo diretto.

Tale valore, modificato dai valori provenienti della gestione finanziaria e da quella non tipica, nonché dagli effetti delle operazioni straordinarie, rappresenta il “risultato prima delle imposte”:

se esso è positivo, si quantifica e detrae l’eventuale onere tributario diretto dovuto, pervenendo così ad un valore finale che costituirà il REDDITO o la PERDITA di Esercizio.

Ottenuto il risultato di gestione, ancorché esso sia positivo, sarà interesse dell’imprenditore e dei finanziatori valutare se il capitale investito (quello proprio da parte dell’imprenditore e quello fornito dai finanziatori) possa essere remunerato secondo le rispettive attese o meno: a tal fine si raffronteranno i valori delle diverse “fasi” di reddito con la parte di capitale (di rischio) investito dall’imprenditore e suoi eventuali soci ( per l’indice di redditività del capitale proprio) o con il valore complessivo dei capitali (di rischio e di finanziamenti- prestiti esterni) impiegati nell’esercizio di impresa ( per l’indice di redditività di tutti i capitali impiegati, propri dell’imprenditore e quelli ricevuti in prestito da parte di istituti di credito ed enti finanziatori).

Nel prossimo blog ci riserviamo di proporre alcune considerazioni sulla “lettura” dell’indice di redditività dell’impresa: a presto.

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Strumenti di Pianificazione e Gestione aziendale: Il rendiconto finanziario

In un precedente “focus” sul bilancio, abbiamo fatto cenno che tale fondamentale documento viene accompagnato da relazioni esplicative: tra queste il rendiconto finanziario.

Esso consiste in   un prospetto di natura contabile il cui scopo è quello di evidenziare i movimenti finanziari posti in essere dall’impresa nel periodo di tempo cui si riferisce il bilancio e sintetizza l’analisi delle variazioni intervenute tra le disponibilità iniziali e quelle finali, nonché le fonti da cui sono state ricavate le risorse finanziarie impiegate nell’attività e la destinazione di tali risorse, dando così immediata analisi consuntiva della dinamica finanziaria per il periodo considerato dal bilancio e fornendo solide basi di valutazione – insieme al “business plan” – per la pianificazione finanziaria dell’attività futura.

La tecnica di costruzione del “flusso finanziario” è impiegata – sovente – anche per la pianificazione di un singolo progetto di rilevante importanza e impegno per l’impresa.

Breve nota: con dinamica finanziaria si definisce la capacità dell’impresa di produrre flussi finanziari -disponibilità liquide- da impiegare nello svolgimento della propria attività.

Inoltre, il rendiconto finanziario – “misurando” l’affidabilità finanziaria dell’impresa –  diviene immediato strumento di “consapevolezza” per l’imprenditore nonché – insieme ad altri – ulteriore elemento di conoscibilità della stessa impresa per i suoi interlocutori (clienti, fornitori, istituti di credito e finanziari, “partner” di filiera, enti pubblici, etc.)

Se tale documento è divenuto obbligatorio (con legge del 2015, entratain vigore dal 2016)   per le imprese di medie o grandi dimensioni, tenute alla redazione del bilancio d’esercizio in forma ampia, diventa strumento   di gestione e controllo anche per le imprese di ridotte dimensioni.

Come già scritto, Il bilancio così come formulato secondo i prescritti criteri di “competenza economica”, rileva gli atti economici posti in essere, prescindendo dalla circostanza se si siano avverati anche i relativi movimenti finanziari, e   fornisce soltanto l’ammontare delle disponibilità finanziarie all’inizio e alla fine del periodo considerato: la differenza tra i due valori evidenzierà se esse sono aumentate o diminuite, ma non i motivi gestionali che ne sono la causa.

In buona sintesi, il rendiconto finanziario ha come fine quello di informare sulle modalità di reperimento (fonte) e di utilizzo (impiego) delle risorse finanziarie disponibili, e permette di rilevare se l’attività tipica dell’impresa, anziché produrre assorba risorse finanziarie, cioè che  i costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività – misurati nella quantità e nella qualificazione delle conseguenti uscite finanziarie – superino le entrate finanziarie prodotte dai ricavi (misurati per competenza economica): è chiaro che in questa ipotesi la situazione finanziaria dell’impresa diventa critica.

Non è raro il caso in cui, pur a fronte di un risultato economico positivo, l’imprenditore si trovi in situazione finanziaria negativa: vuoi per eventuali investimenti   non ben programmati ed eccedenti le capacità di “assorbimento” dell’impresa, o   per eccesso di dilazioni di pagamento concesse a clienti rispetto a quelle ricevute dai propri fornitori, o altri motivi che hanno comunque creato squilibrio tra i flussi finanziari di entrata e di uscita.

Da qui la necessità che ogni organizzazione economica (impresa o ente “no profit”) si avvalga costantemente, per le proprie scelte operative, anche di metodologie di pianificazione e gestione finanziaria che siano – peraltro- le più opportune per la propria struttura.

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Nel restare, come sempre, disponibili ad approfondimenti relativi a particolari casi proposti al nostro Studio, ci ripromettiamo di continuare ad un prossimo appuntamento.

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OBBLIGO COMUNICAZIONE INDIRIZZO PEC ENTRO IL 1° OTTOBRE 2020

Entro il prossimo 1° ottobre tutte le imprese e i professionisti iscritti ad Albi o elenchi sono tenuti a comunicare, se non lo hanno già fatto, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC).

L’obbligo per imprese e professionisti di dotarsi di un indirizzo PEC vige da oltre dieci anni, ma ad oggi molti soggetti ne sono ancora sprovvisti oppure hanno un indirizzo non valido o non attivo, perciò il “Decreto Semplificazioni” (D.L. 76 del 16.07.2020) è intervenuto prevedendo un nuovo regime sanzionatorio applicabile dal 1° ottobre 2020. Sintetizzando:

Tipo di SoggettoObbligo “originario”Soggetto a cui comunicare PECSanzione dal 01.10.2020
Società di persone o di capitaliNovembre 2008Registro Imprese CCIAADa € 206 a € 2.064
Imprese individualiDicembre 2013Registro Imprese CCIAADa € 30 a € 1.548
Professionisti iscritti ad albi o elenchiNovembre 2009Albo o collegio di appartenenzaSospensione dall’albo o collegio in caso di mancata ottemperanza alla diffida ricevuta nel termine di 30 giorni
Altri professionistiNessun Obbligo  
AssociazioniNessun Obbligo  
Soggetti PrivatiNessun Obbligo  

Tutti i soggetti giuridici in fase di apertura della partita iva devono verificare se sussiste quest’obbligo e provvedere a comunicare tempestivamente l’indirizzo di posta elettronica certificata agli organi di competenza. In ogni caso è sempre consigliabile dotarsi di un indirizzo PEC.

L’indirizzo PEC fa parte del così detto “domicilio digitale”, in cui rientrano anche ulteriori servizi elettronici di recapito certificato qualificato (Sercq) previsti dal regolamento (UE) del 23.07.2014 n. 910 del Parlamento Europeo (regolamento eIDAS), ad oggi non ancora disponibili.

La PEC consente di sostituire, con pieno valore legale, comunicazioni e notifiche atti da parte di Pubbliche Amministrazioni e soggetti privati, permettendo di ridurre tempi e costi di notifica, perciò è necessario mantenere costantemente monitorata la casella di posta elettronica certificata e provvederne al rinnovo.

Gli indirizzi PEC forniti dalle imprese al Registro Imprese e dai professionisti agli Ordini o Collegi di appartenenza confluiscono nel registro INI-PEC (indice nazionale dei domicili digitali) istituito presso il Ministero dello Sviluppo economico, consultabile al seguente link: https://www.inipec.gov.it/cerca-pec

DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER LE IMPRESE

Il possesso di un indirizzo PEC è un requisito necessario per svolgere l’attività d’impresa ed essere regolarmente iscritti nel Registro delle Imprese delle Camere di Commercio.

Se nel corso della vita dell’impresa il domicilio digitale comunicato alla Camera di Commercio diventa inattivo (ad esempio a causa del mancato rinnovo), il conservatore del registro delle imprese cancella d’ufficio l’indirizzo, previa diffida, procede con l’applicazione della sanzione e all’assegnazione d’ufficio di un nuovo indirizzo PEC che verrà reso dispinibile tramite il Casseto digitale dell’imprenditore all’indirizzo impresa.italia.it (accesso tramite SPID o CNS). La PEC “d’ufficio” sarà attiva per la sola ricezione di documenti e se l’impresa non procederà ad accedere al domicilio assegnato si accollerà il rischio di vedersi recapitati atti e altri documenti provenienti da pubbliche amministrazioni o da privati, aventi pieno valore legale.

DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER I PROFESSIONISTI

I professionisti che non hanno comunicato il proprio indirizzo PEC al proprio Ordine o Collegio di appartenenza corrono il rischio di vedersi recapitare una letterea di diffida da parte degli stessi.

Se entro 30 giorni l’interessato non dovesse provvedere a regolarizzare la propria posizione, scatterebbe la sanzione disciplinare consistente nella sospensione dall’Ordine o Collegio professionale di appartenenza, con la conseguenza che non potrà esercitare l’attività professionale.

I professionisti non iscritti ad alcun Albo non sono  tenuti ad alcun adempimento.

Riferimenti Normativi:

  • D.lgs. n. 82 del 7.03.2005 Codice dell’Amministrazione Digitale
  • D.L. n. 185 del 29.11.2008 – art. 16 commi da 6 a 7-bis: Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese
  • D.P.R n. 68 del 11.02.2005 Disposizioni per l’utilizzo della PEC
  • D.L.n. 76 del 16.07.2020 art. 37 – Disposizioni per favorire l’utilizzo della posta elettronica certificata nei rapporti tra pubbliche amministrazioni, imprese e professionisti
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PAGAMENTI ELETTRONICI: AGEVOLAZIONI PER IMPRESE, PROFESSIONISTI E PRIVATI

Dal 01.07.2020 è stata avviata la progressiva riduzione dell’utilizzo del denaro contante già prevista dal D.L. 124/2019. In particolare:

  • fino al 30.06.2020 il limite di utilizzo dei contanti era pari ad € 3.000,00;
  • dal 01.07.2020 al 31.12.2021 il limite è stato abbassato ad € 2.000,00;
  • dal 01.01.2022 il limite verrà ulteriormente ridotto ad € 1.000,00.

I limiti indicati valgono anche qualora il trasferimento venga effettuato con più pagamenti di importo inferiore alla soglia, che possano apparire artificiosamente frazionati. Il mancato rispetto della normativa prevede, per le violazioni contestate dal 01.07.2020 al 31.12.2021, una sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.000,00 a € 50.000,00.

Per le associazioni in regime forfettario ex L. 398/1991 il limite per l’utilizzo dei contanti continua ad essere pari ad € 1.000,00, pena la fuoriuscita dal regime agevolato.

Al fine di ridurre l’utilizzo del denaro contante, già dal 30.06.2014 i soggetti che effettuano attività di vendita di beni e prestazione di servizi, anche professionali, avrebbero dovuto obbligatoriamente munirsi di POS, in modo da poter accettare pagamenti con bancomat, carte di credito o prepagate. Ad oggi quest’obbligo non è assistito da alcuna sanzione, tuttavia è necessario adeguarsi per non incorrere in alcuna contestazione e per poter beneficiare delle agevolazioni previste dal legislatore.

CREDITO D’IMPOSTA SU COMMISSIONI  PER PAGAMENTI ELETTRONICI

L’art. 22 del D.L. 124/2019 riconosce agli esercenti attività d’impresa, arte o professione, che abbiano avuto nell’anno precedente ricavi inferiori ad € 400.000,00, un credito d’imposta pari al 30% delle commissioni addebitate agli stessi per i pagamenti elettronici effettuati da privati.

A partire dal 01.07.2020, infatti i c.d. “soggetti convenzionatori”, cioè i prestatori di servizi di pagamento autorizzati (a mero titolo esemplificativo e non esaustivo Nexi ed American Express), devono comunicare mensilmente all’Agenzia delle Entrate e alle  imprese/professionisti l’ammontare delle commissioni addebitate relative alle transazioni effettuate da soggetti privati tramite carte di debito (bancomat), carte di credito o prepagate. Le modalità sono le seguenti:

  • all’Agenzia delle Entrate telematicamente tramite il Sistema di Interscambio Dati (SID) entro il giorno 20 di ogni mese (provvedimento Agenzia delle Entrate n. 181301 del 29.04.2020)
  • agli esercenti attività d’impresa, arte o professione tramite PEC o mediante pubblicazione di apposito resoconto nell’area riservata del sito internet del soggetto convezionatore (provvedimento della Banca d’Italia del 21.04.2020).

Il credito d’imposta spettante all’impresa/professionista è pari al 30% delle commissioni comunicate e può essere usato in compensazione a partire dal mese successivo a quello di sostenimento della spesa tramite mod. F24 (codice tributo 6916 con indicazione di mese e anno di riferimento). Il credito non è soggetto a tassazione IRES/IRPEF/IRAP ma deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di maturazione ed eventualmente in quelle successive fino al termine dell’utilizzo. L’agevolazione si applica nel rispetto del regime “de minimis”.

MISURE AGEVOLATIVE IVA E IMPOSTE DIRETTE

Sono presenti misure agevolative in favore dei soggetti IVA (imprese, professionisti) che si avvalgono di mezzi di pagamento elettronici. In particolare:

  • riduzione di 2 anni dei termini di accertamento ai fini IVA e dei redditi d’impresa o lavoro autonomo a favore di coloro che garantiscono la tracciabilità di tutti i pagamenti ricevuti ed effettuati per operazioni di ammontare superiore ad € 500,00;
  • riduzione alla metà delle sanzioni amministrative a favore delle imprese/professionisti con ricavi inferiori ad € 5.000.000 i quali, per tutte le operazioni attive e passive effettuate nell’esercizio dellì’attività, utilizzando esclusivamente strumenti di pagamento diversi dal denaro contante e indicando nella dichiarazione di redditi e nella Dichiarazione IVA, i rapporti intrattenuti con gli istituti di credito;
  • partecipazione alla lotteria degli scontrini “zero contanti”.

BONUS “CASHBACK” PER PRIVATI CONSUMATORI

La Legge di Bilancio 2020 art. 1 commi da 288 a 290, modificati dal D.L. n. 104 del 14/08/2020, introduce una misura dedicata ai privati al fine di incentivare l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, quali bancomat e carte di credito. L’agevolazione consiste in un rimborso in denaro le cui modalità di fruizione e importi verranno stabiliti con futuri decreti emanati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Riferimenti Normativi:

  • D.L. n. 124 del 26.10.2019 – art. 18: Limitazioni all’utilizzo del contante e relative sanzioni
  • D.L. n. 179 del 18.10.2012 – art. 15 c. 4 – 5 : Obbligo pagamenti elettronici
  • D.L. n. 124 del 26.10.2019 – art. 23: Sanzioni per mancata accettazione di pagamenti effettuati con carte di debito e credito (soppresso in sede di conversione dall’art. 1, comma 1, L. 19.12.2019 n. 157)
  • Parere negativo del Consiglio di Stato n. 1446/2018: sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla mancata accettazione dei pagamenti mediante carte di debito e carte di credito.
  • D.L. n. 124 del 26.10.2019 – art. 22: Credito d’imposta su commissioni pagamenti elettronici
  • Comunicato Banca d’Italia del 21.04.2020: disposizioni attuative dell’art. 22 c. 5 D.L. n. 124 del 26.10.2019 (Credito d’imposta su commissioni pagamenti elettronici)
  • Provvedimento Agenzia Entrate n. 181301 del 29.04.2020: definizione dei termini, delle modalità e del contenuto delle comunicazioni trasmesse telematicamente dagli operatori dei sistemi di pagamento elettronici tracciabili al fine della fruizione del credito d’imposta su commissioni pagamenti elettronici
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 48/E del 31.08.2020: Istituzione codice tributo per l’utlizzo in compensazione del credito d’imposta per le commissioni addebtitate per le transazioni effettuate mediante strumenti di pagamento elettronici 
  • D.Lgs. n. 127 del 05.08.2015 – art. 3: Incentivi per la tracciabilita’ dei pagamenti 
  • D.L. n. 138 del 13.08.2011 – art. 2 c. 36-vicies ter: riduzione sanzioni amministrative per utilizzo esclusivo di strumenti di pagamento elettronici
  • L. n. 160 del 27.12.2019 – art. 1 c. 288 – 290: cashback per privati consumatori
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Locazioni immobiliari

CREDITO D’IMPOSTA PER I CANONI DI LOCAZIONE E DI AFFITO D’AZIENDA
L’art. 28 D.L. 34/2020 prevede un nuovo credito d’imposta sui canoni di locazione, leasing o affitto d’azienda di immobili ad uso non abitativo corrisposti relativamente ai mesi di marzo, aprile e maggio (o aprile, maggio, giugno per le strutture turistiche con attività solo stagionale) da imprese, professionisti ed enti no profit. Le condizioni per usufruirne sono le seguenti:

  • ricavi/compensi 2019 inferiori ad € 5 milioni (requisito non richiesto per strutture alberghiere e agrituristiche);
  • calo del fatturato/corrispettivi pari almeno al 50% nel mese di riferimento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente;
  • il canone di locazione/leasing/affitto d’azienda deve comprendere almeno un immobile ad uso non abitativo destinato allo svoglimento dell’attività;
  • il canone di locazione/leasing/affitto d’azienda deve essere stato corrisposto, anche se in ritardo, entro il 31/12/2020.
    Il credito d’imposta è pari al:
  • 60% dell’ammontare mensile dei canoni di locazione o leasing;
  • 30% dell’ammontare mensile dei canoni relativi a contratti di affitto d’azienda.
    Il suddetto credito non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile IRAP e può essere utilizzato in dichirazione dei redditi, in compensazione nel mod. F24 o ceduto ad altri soggetti; inoltre non è cumulabile con il credito d’imposta di cui all’art. 65 del D.L. 34/2020 “Cura Italia” previsto per il mese di marzo sulle locazioni di immobili appartenenti alla categoria C/1.
    Per l’utilizzo del credito d’imposta è necessario attendere ulteriori informazioni dall’Agenzia Entrate in merito al codice tributo.

CESSIONE DEL CREDITO D’IMPOSTA
Fino al 31/12/2021 i beneficiari del credito d’imposta precedentemente descritto, possono optare in luogo all’utilizzo diretto del credito, alla cessione, anche parziale, dello stesso ad altri soggetti, tra i quali istituti di credito e altri intermediari finanziari.
Ai sensi dell’art. 122 D.L. 34/2020 il cessionario può utilizzare il credito in compesazione con le stesse modalità previste in capo al cessionario, ma l’eventuale quota di credito non utilizzata non può essere richiesta a rimborso.
Ad oggi manca il provvedimento attuativo con tutte le informazioni connesse e conseguenti all’esercizio dell’opzione.

REVISIONE DEI CANONI DI LOCAZIONI
A causa dell’emergenza sanitaria in corso, molti operatori economici si trovano in difficoltà a corrispondere alle scadenze prefissate il canone di locazione degli immobili in cui viene esercitata l’attività. In accordo con il proprietario (locatore) è possibile valutare le seguenti opzioni:

  • temporanea sospensione dei pagamenti, da rinviare ad una data stabilita, senza alcuna maggiorazione a titolo di penalità o interessi;
  • revisione (temporanea o definitiva) del contratto di locazione, con introduzione di nuovi accordi relativi alla misura del canone, ai tempi del suo pagamento, o altri patti e oneri originariamente a carico di una delle parti;
  • risoluzione consensuale del contratto.
    Per le descritte ipotesi è opportuno, per entrambe le parti, formare un atto scritto da sottoporre a regolare registrazione affinché esso sia opponibile a terzi o quantomeno darne data certa anche per mezzo di strumenti informatici.
    Nel caso di mancato accordo il locatario, ove non ritenga di continuare l’esercizio di impresa, potrà recedere dal contratto, con comunicazione formalmente notificata alla proprietà con un preavviso di sei mesi, dimostrando i gravi ed insuperabili motivi di “forza maggiore imprevedibili e inevitabili” che lo inducono al recesso dal contratto.
    In mancanza di tali adempimenti, oltre al pagamento di sei canoni, dovrà risarcire il locatore dei danni da questi subiti e la cui esistenza sia effettiva e dimostrata.
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CONVENZIONE CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI ITALIA – OLANDA > 2_ “AZIENDE E STABILE ORGANIZZAZIONE”

Navigando tra le problematiche legate all’individuazione del Paese che abbia diritto ad applicare una determinata tassazione, una si pone quale fondamentale : la definizione del concetto di “Stabile Organizzazione”; compito ancora più laborioso e complesso, oggi rispetto al passato, in conseguenza della enorme “velocità” di operatività internazionale e intercontinentale che le imprese hanno acquisito, investendo e “ragionando” non più in termini di “area paese” bensì di “aree continentali” e tramite strumenti di “comunicazione” e di “trasferimento di ricchezza” in tempo reale.

Con il termine STABILE ORGANIZZAZIONE si definisce il principio dii diritto tributario che riconosce, ad un determinato Stato, il diritto di imposizione tributaria sul reddito   prodotto da un’attività economica, condotta sul suo territorio, da un soggetto residente in altro Stato, con l’utilizzo di una struttura fissa e continuativa nel tempo e da lui dipendente.

Tale è anche il concetto proposto dall’OCSE, all’art. 5 del modello di convenzione contro le doppie imposizioni; peraltro l’attività del citato organismo sovranazionale è tesa costantemente a “modellare” i propri indirizzi alle mutevoli evoluzioni del sistema economico-politico internazionale.

Nella legislazione tributaria italiana, per quanto riguarda l’imposizione diretta sul reddito, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIRR – dpr 917/86) all’art.162, così accoglie la nozione di “stabile organizzazione”: “…l’espressione…designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.”

Cogliamo il richiamo che ci dà la lettura del primo e dell’ultimo comma dell’art. 4 (Residenti) della convenzione contro le doppie imposizioni, corrente tra il nostro Paese e i Paesi Bassi (Olanda) e che abbiamo assunto quale primo riferimento per i nostri “blog” sui rapporti fiscali internazionali, con iniziale approccio ai Paesi dell’Unione Europea.

Affermano infatti i citati commi che “…l’espressione «residente di uno degli Stati» designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga prosegue poi con “…Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono assoggettate ad imposta in questo Stato soltanto per il reddito che esse ricavano da fonti situate in detto Stato o per il patrimonio ivi situato…” per concludere che “…quando una persona diversa da persona fisica è residente di entrambi gli Stati, si ritiene che essa è residente dello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva…” 

L’espressione “sede della… direzione effettiva” viene concettualmente ripresa dal successivo art. 5 che definisce cosa sia una Stabile organizzazione”:

1. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività.

2. L’espressione «stabile organizzazione» comprende in particolare:

a) una sede di direzione;

b) una succursale;

c) un ufficio;

d) un’officina;

e) un laboratorio;

f) una miniera, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali;

g) un cantiere di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i dodici mesi.

Ponendo poi le seguenti specificazioni di esclusione:

3.Non si considera che vi sia una «stabile organizzazione» se:

a) si fa uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti alla impresa;

b) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;

c) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;

d) una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere informazioni per la impresa;

e) una sede fissa di affari è utilizzata, per l’impresa, ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliario.

4. Una persona che agisce in uno degli Stati per conto di un’impresa dell’altro Stato – diversa da un agente che goda di uno status indipendente, di cui al paragrafo 5 – è considerata «stabile organizzazione» nel primo Stato se dispone nello Stato stesso di poteri che esercita abitualmente e che le permettano di concludere contratti a nome dell’impresa, salvo il caso in cui l’attività di detta persona sia limitata all’acquisto di merci per l’impresa.

5. Non si considera che un’impresa di uno degli Stati ha una stabile organizzazione nell’altro Stato per il solo fatto che essa vi esercita la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività.

6. Il fatto che una società residente di uno degli Stati controlli o sia controllata da una società residente dell’altro Stato ovvero svolga la sua attività in questo altro Stato (sia per mezzo di una stabile organizzazione oppure no) non costituisce di per sé motivo sufficiente per far considerare una qualsiasi delle dette società una stabile organizzazione dell’altra.

Dunque, il dover stabilire a quale, degli Stati interessati, vada attribuita la potestà impositiva comporta un preventivo esame di una specifica situazione di fatto e di diritto.

Con particolare riferimento agli ultimi tre commi (4.5.6) della Convenzione, la legislazione italiana – in tema della dovuta indipendenza del soggetto terzo il quale “opera nel territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente” – prevede, al “rinnovato” art. 162 comma 7-bis del TUIRR (dpr 917/86) – che

“… Ai soli fini del presente articolo, un soggetto è strettamente correlato ad un’impresa se, tenuto conto di tutti i fatti e di tutte le circostanze rilevanti, l’uno ha il controllo dell’altra ovvero entrambi sono controllati da uno stesso soggetto. In ogni caso, un soggetto è considerato strettamente correlato ad un’impresa se l’uno possiede direttamente o indirettamente più del 50 per cento della partecipazione dell’altra o, nel caso di una società, più del 50 per cento del totale dei diritti di voto e del capitale sociale, o se entrambi sono partecipati da un altro soggetto, direttamente o indirettamente, per più del 50 per cento della partecipazione, o, nel caso di una società, per più del 50 per cento del totale dei diritti di voto e del capitale sociale.”

Sotto il profilo IVA (imposta c.d. “armonizzata” in ambito U.E.). la stabile organizzazione è così definita dall’art. 11 del regolamento comunitario n. 282/2011, c.d. regolamento d’esecuzione “…la stabile organizzazione presuppone l’impiego di risorse umane e materiali, non essendo sufficiente la mera presenza di impianti e macchinari sul territorio di uno Stato”.

A tal proposito, di particolare interesse la recentissima sentenza della Corte di giustizia 7.5.2020 n. C-547/18.

L’ordinamento nazionale italiano, in ordine all’ imposta sulle persone fisiche (IRPEF) – all’art. 2 del TUIRR prevede (in linea di principio generale e fatte salve le convenzioni con altri Stati N.d.R.) che “…soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato…” e per quanto ha riguardo alla tassazione diretta degli enti collettivi, prevede – all’art. 73 – 1° c – del TUIRR – l’assoggettamento a tassazione dei redditi prodotti nel territorio dello Stato da non residenti “…Sono soggetti all’imposta sul reddito delle società:…le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato…”  

Il citato TUIRR, con i successivi seguenti articoli:

 151 dà la nozione di reddito complessivo delle società ed enti non residenti

152 definisce la nozione di reddito di società ed enti commerciali non residenti derivante da attività svolte nel territorio dello Stato mediante stabile organizzazione

 153 definisce il criterio di determinazione del reddito degli enti non commerciali non residenti.

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Se di interesse ci soffermeremo, con prossimi “focus”,  su particolari aspetti del vasto campo della fiscalità internazionale : restiamo sempre e comunque a disposizione per eventuali approfondimenti.

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Transfer pricing: “Trasferimento di valore nelle transazioni internazionali”

Un particolare aspetto, legato alla “globalizzazione” dell’economia e all’internazionalizzazione delle imprese e dei rapporti che intercorrono tra “gruppi” di imprese che operano in Paesi diversi, è quello dei “prezzi di trasferimento” : c.d. “transfer pricing”.

Uno dei canoni fondamentali, che viene posto dai principi di Scienza delle Finanze (e di Diritto Tributario), in tema di tassazione dei profitti è quello generale di “territorialità dell’imposizione”: ovvero, le imposte debbono essere applicate nel Paese in cui è localizzata l’attività economica che produce i profitti oggetto di “tassazione”.

Se il citato principio appare di semplice enunciazione, non lo è la sua pratica attuazione nelle transazioni internazionali: i sistemi fiscali dei diversi Paesi non sono tra loro omogenei, e alcuni di essi prevedono livelli di imposizione più miti rispetto ad altri: da qui emerge il potenziale interesse del “gruppo” a trasferire materia imponibile  – con “adeguamento ad hoc” dei prezzi di trasferimento –dallo Stato in cui si è prodotta una specifica “ricchezza” ad altro Paese ove ne sia prevista una più “mite” tassazione.

In tale contesto di fatto, l’ OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nata dall’ evoluzione della precedente OECE Organizzazione Europea di Cooperazione Economica),

ha dato vita ad un progetto di osservazione e studio, denominato “Base Erosion ad Profit Shifting” (BEPS), al fine di fissare i principi base per la determinazione dei valori da attribuire alle transazioni internazionali e per la soluzione delle problematiche legate al “trasferimento di valore” dal Paese in cui esso è prodotto ad altro con sistema tributario di favore, tradendo così l’ulteriore principio economico per il quale ogni impresa, partecipe alla produzione di beni e servizi, dovrebbe essere remunerata in modo proporzionale all’apporto che essa ha dato allo stesso processo di produzione e ai rischi assunti.

L’OCSE, nel 2017, grazie al progetto BEPS, ha aggiornato una precedente versione delle “Linee Guida sui prezzi di trasferimento”, con l’approfondimento e l’attualizzazione dello studio dei rischi legati al “transfer price” e integrando le linee di indirizzo relative alle problematiche inerenti i “beni immateriali”, i “servizi” e la documentazione che le imprese debbono approntare a illustrazione dei criteri adottati per la determinazione dei prezzi di trasferimento applicati.

Elevato, quindi, l’interesse degli Organismi Fiscali  dei diversi Paesi a verificare che il valore monetario delle transizioni economiche internazionali sia quantificato alla luce del “principio di libera concorrenza”: adozione di prezzi uguali a quelli praticati tra soggetti indipendenti l’uno dall’altro e in  condizioni di mercato comparabili con quelle in cui si trova il “gruppo interessato”; avendo cura, comunque, di non produrre fenomeni di “doppia imposizione ” e  per limitare i quali sussistono, comunque,  apposite convenzioni bilaterali tra Stati.

Il nostro legislatore fiscale nazionale ha regolamentato la materia di cui è argomento, per quanto riguarda l’imposizione diretta sul reddito, con l’art. 110 – 7° comma – del TUIRR (DPR 917/86 –Testo Unico delle Imposte sui Redditi), il quale, dopo le modifiche introdotte nel 2017, così recita:

“ I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l’applicazione del presente comma.”

Eliminando, peraltro, la precedente dizione “con riferimento al valore normale” ,  spesso di estrema discutibile applicabilità quale concetto per la determinazione dei prezzi, con l’inciso “con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili”.

Da evidenziare, inoltre, che la nostra legislazione intende facenti parte di un “Gruppo” tutte le società controllate, società controllanti, o società controllate direttamente od indirettamente dallo stesso soggetto e il controllo può essere di diritto o di fatto, cioè – di diritto- quando si rileva la sussistenza di un diritto che consenta il controllo giuridico sulle altre società  o – di fatto -una ‘influenza dominante”, in connessione a particolari vincoli contrattuali o anche di fatto.

Svolte queste brevi note di introduzione all’importante argomento del  “transfer pricing”, che potrà essere d’interesse anche per le piccole e medie imprese che intendano proporsi all’estero, è bene far memoria di un dibattito che ha avuto alterne vicende legislative e giudiziali: intendiamo parlare della configurabilitàper “gruppi” che operano esclusivamente in campo nazionale  , delle problematiche di natura fiscale legate alla determinazione dei “prezzi di trasferimento”.

La vicenda ha visto prevalere, in passato, la tesi sostenuta dagli Uffici Fiscali e favorevole alla applicabilità delle verifiche sui prezzi di trasferimento anche per le transazioni commerciali “domestiche”; da ultimo, una recente sentenza della Corte di Cassazione ha modificato precedenti orientamenti: ma questa è un’altra Storia!

Il nostro Studio è, come sempre, disponibile all’approfondimento e alla consulenza per eventuali specifici casi.

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START UP INNOVATIVE : AGEVOLAZIONI FISCALI E NON SOLO…..SEMPLICEMENTE UN NUOVO MONDO DA SCOPRIRE INSIEME….

L’attuale crisi economica e sociale portata dalla pandemia che affligge l’intero globo, ci offrirà –senza dubbio- una possibile” rivisitazione” delle strutture socio-economiche e l’occasione per nuove visioni politiche, sia a livello nazionale che internazionale.

I concetti di “internazionalizzazione” e di “economie interdipendenti” potranno essere adeguati a nuovi equilibri politici e incombenti necessità “ecologiche” del nostro Pianeta, e – non ultimo – all’enorme progresso tecnologico in atto.

Quale il ruolo e le possibilità offerte al sistema imprenditoriale italiano, in modo particolare alle aree che sino ad oggi sono state economicamente “dipendenti” da altre con più vivace tessuto di imprese?

E nell’immediato , quali gli strumenti che oggi vengono offerti dalla legislazione nazionale a chi voglia iniziare a  “reinventare” il futuro?

Il nostro legislatore nazionale, nel contesto di una visione globale, nel 2012 ha posto le basi di un modello socio-economico di “crescita sostenibile”, precursore di un sistema interconnesso di “rete” tra imprese (da piccole a grandi dimensioni), strutture di servizi di ricerca e sviluppo a sevizio delle imprese e collegamenti funzionali con istituti universitari;

particolare attenzione viene riservata allo sviluppo di imprenditorialità giovanile altamente specializzata, alla introduzione di normative e di appositi istituti giuridici che favoriscano la raccolta dei necessari capitali, la mitigazione del regime fiscale che giunge alla “detassazione” di particolari operazioni e  determinati redditi ;

rilevanti anche la semplificazione e l’alleggerimento degli obblighi di norme societarie e la limitazione del rischio d’impresa nonché  le agevolazioni di carattere fiscale e finanziario.

Intendiamo parlare dell’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano della nozione di “nuova impresa tecnologica” : l’approfondimento odierno del blog è, dunque, dedicato alle  c. d. start up innovative.

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Il favor legislatoris nel settore è stato introdotto dal parlamento italiano con l’approvazione della legge n.221 del 2012 di conversione del decreto legge 18 ottobre 2012 n.179.

Procediamo, però, con ordine.

Le agevolazioni, in tale settore, non sono solamente fiscali, ma, come ci accingiamo a esplicare, assumono connotazioni anche in ambito giuslavoristico, camerale e societario.

Va da sé che, preliminarmente e in via prodromica, è necessario qualificare quali attività possano essere qualificate come start up innovative.

A tal fine, risulta necessaria la sussistenza di requisiti cumulativi e alternativi, unitamente a un’iscrizione speciale nel registro delle imprese, per poter usufruire di apposite  agevolazioni  per un periodo pari a cinque anni dalla costituzione della società.

Vediamo più nello specifico.

Tra i requisiti cumulativi  la start up deve :

  • essere costituita da non più di 60 mesi ( unica eccezione per le società già costituite alla data del 19 dicembre 2012 limite massimo dalla costituzione a partire dal 20 ottobre 2008);
  • essere residente in Italia o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio unico europeo, purché abbia una sede produttiva o filiale in Italia;
  • possedere dal secondo anno di attività un totale della produzione annua non superiore a cinque milioni di euro, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato;
  • non distribuire, né aver distribuito utili;
  • avere, quale oggetto sociale unico o prevalente, quello attinente lo sviluppo, la produzione o la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
  • non essere stata costituita dalla fusione, scissione societaria o da una cessione d’azienda o da un  ramo d’azienda.

Oltre ai requisiti cumulativi la start up per essere qualificata, a livello normativo, innovativa deve almeno possedere almeno uno dei seguenti requisiti alternativi :

  • le spese in ricerca e sviluppo devono essere uguali o superiori al 15% del maggiore valore fra costo e valore totale della start up innovativa ( dal calcolo sono escluse, tra le altre, le spese affrontate per l’acquisto e la locazione di beni immobili);
  • impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo giuridico pari o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva dotato di titoli di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata  presso istituti di ricerca pubblici o privati in Italia o all’estero ovvero abbia in percentuale superiore a due terzi della forza lavoro complessiva personale in possesso di laurea magistrale;
  • deve essere titolare o depositaria di una privativa industriale concernente un’invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale o deve essere titolare dei diritti in merito a un programma per elaboratore riguardanti l’oggetto sociale e l’attività d’impresa.

Chiaro risulta, pertanto, che l’oggetto sociale della start up innovativa deve possedere, quale elemento peculiare lo sviluppo, la produzione e la relativa commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

Definiti, in tal modo, i requisiti e l’oggetto sociale precipui delle attività delle start up innovative, passiamo a esaminare le relative agevolazioni, partendo, da quella che riteniamo maggiormente rilevante, ossia: quella fiscale.

L’articolo 29 del decreto legge 179/2012, così come convertito nella legge n. 221 del 17 dicembre 2012, ha previsto ai soggetti IRPEF e ai soggetti IRES di detrarre o dedurre le risorse investite in start up innovative.

Vediamo, ora, più nel dettaglio, di che si tratta:

  • per le persone fisiche è prevista una detrazione IRPEF del 30% della somma investita nel capitale sociale delle start up innovative, fino ad un investimento massimo di 1.000.000 di euro annui;
  • per le persone giuridiche è prevista una deduzione IRES del 30% dell’investimento, con tetto massimo di investimento annuo pari a 1.800.000 euro.

Le agevolazioni vengono riconosciute fino ad un ammontare complessivo di conferimenti non superiori a 15.000.000 di euro per ciascuna start up innovativa e, ai fini del calcolo, si computano tutti i conferimenti agevolabili ricevuti dalla start up innovativa nel periodo di vigenza del regime di agevolazioni.

Gli aspetti rilevanti in materia fiscale non si limitano a quanto asserito sopra, ma si estendono alla  completa disapplicazione delle società di comodo e delle società in perdita sistematica, per non parlare, poi, dell’esenzione sia ai fini fiscali che contributivi del reddito derivante dall’assegnazione di strumenti finanziari diretti a remunerare le prestazioni lavorative e le consulenze qualificate; per concludere nel riconoscimento di un credito di imposta ( subordinato all’autorizzazione della commissione europea) pari al 75% degli investimenti incrementali pubblicitari effettuati sulla stampa quotidiana e periodica anche on line e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali.

Un pacchetto fiscale veramente interessante non c’è che dire.

Veniamo, ora, ad affrontare, come sostenuto nella prima parte del nostro approfondimento, anche le agevolazioni riconosciute alle start up innovative di natura non fiscale.

Soffermiamoci sugli aspetti giuslavoristici.

Per le start up innovative il decreto legislativo n. 81/2015 ha ribadito la acausalità e la durata massima del rapporto  di lavoro tra le stesse parti di 36 mesi e ha confermato le deroghe alla normativa ordinaria relative ai rinnovi contrattuali e ai limiti quantitativi di utilizzo dell’istituto, unitamente alla derogabilità alle norme in materia di proroga.

Più nel dettaglio :  le start up non sono soggette ai limiti di numero di proroghe ( nei 36 mesi sono libere di procedere alla proroga anche per più di 5 volte), possono rinnovare, entro il limite massimo, più volte i contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore, anche con un intervallo inferiore a quello generale andando esenti dalla conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro; in aggiunta vi è un’apposita esclusione dai limiti quantitativi per l’utilizzo dei rapporti a tempo indeterminato.

Speciali e precipue sono, poi, le modalità di retribuzione dei lavoratori assunti nelle start up innovative, la cui retribuzione è composta da una parte fissa ( con dei minimi inderogabili a livello contrattuale) e da una parte variabile collegata all’efficienza, alla produttività del lavoratore o ad altri parametri di rendimento previamente concordati, non esclusa la possibilità di acquisizioni di quote o azioni societarie.

Una normativa, pertanto, che, anche in ambito lavorativo, assurge alla finalità di rafforzare lo sviluppo delle attività di start up innovative nel tessuto imprenditoriale del Paese.

Le agevolazioni e/o le relative deroghe per le start up innovative riguardano anche l’ambito camerale e quello societario.

Quanto al primo si evidenzia l’esonero per le attività in parola dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria dovuti per gli adempimenti di iscrizione nel registro delle imprese unitamente all’esonero del diritto annuale dovuto alle camere di commercio.

Quanto al secondo, queste le più significative deroghe alla disciplina societaria ordinaria:

– se costituite in forma di s.r.l.:

– previsione di particolari categorie di quote, con diritti differenziati in relazione al ruolo ricoperto da ciascun socio;

– possibilità di operazioni su quote proprie, generalmente inibita ad altre società;

– facoltà di emissione di strumenti finanziari partecipativi, sia verso soci, collaboratori operativi e finanziatori, in relazione all’andamento economico della società;

– possibilità di offerta al pubblico di quote di capitale

Inoltre, è prevista la proroga del termine per la copertura delle perdite (attese le particolari finalità della società e le prevedibili iniziali difficoltà) in caso di perdite che portino ad una riduzione del capitale sociale di oltre un terzo.

Per quanto riguardo il “rischio d’impresa” la “nuova impresa tecnologica” gode dello “status di non fallibilità”: cioè non è soggetta alle procedure di fallimento, concordato preventivo e liquidazione coatta amministrativa e può pertanto accedere ai procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio.

Varie, inoltre, le agevolazioni di carattere finanziario:

– raccolta di capitali tramite iniziative di “equity crowfunding “ ( il nostro Paese è stato antesignano nella regolazione di tale modalità di raccolta fondi); facilitazioni per ammissione al Fondo di Garanzia per PMI; sostegno all’ internazionalizzazione dell’impresa ed altre iniziative di favore in relazione alle caratteristiche di ciascuna impresa.

Ben si comprende, come molteplici siano gli elementi favorevoli congiuntamente alle rilevanti agevolazioni su più materie per dar vita a una start up innovativa .

Lo studio Trinchera, pertanto, unitamente a tutti i suoi collaboratori, è ben lieto di fornire ai propri clienti la  sua qualificata e consueta attività consulenziale per i dovuti approfondimenti e specifica assistenza sulla fattispecie in esame.

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